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TUTTI PAZZI PER IL NERY

Video: la salita al Nery da Tollegnaz
I laghi Frudiére
La Becca Torchè
Il bivacco Cravetto
Salita al M. Nery
Salita ai laghi Frudière da Graines
Estoul - Weissmatten - M. e colletto Taf - colle e laghi Frudiére - Estoul
Salita al Colle Chasten
Salita alla Becca Torchè
Inutile negarlo... se c'è una montagna che magari per anni si dà per irraggiungibile, difficile e pericolosa, si finisce per girarle attorno, guardarla e fotografarla da tutti i lati, cercare di capire se è veramente infattibile, se è alla portata di una ristretta elite di rocciatori o se c'è una via abbordabile; si cercano documentazioni sulle vie di ogni versante, e poi si torna a guardarla da più vicino, da più in alto se possibile, e nuovamente da tutti i lati, cercando le vie di cui si è sentito parlare dal vivo o nelle foto...
Il M. Nery, un gigantesco monolito grigio di 3075 metri di quota, appartiene a questa ampia categoria di obbiettivi (nella foto a sinistra il Nery visto da nord dai pascoli sopra ad Estoul insieme ad alcune delle vette che gli fanno da contorno; alla sua base si snoda il Vallone di Frudière).
I punti di partenza sono essenzialmente due, o meglio, sono due quelli che ci interessano facendo parte della media o bassa Val d'Ayas: per prenderlo da nord si può partire dal Colle Frudière, per attaccarlo da sud dal Vallone di Chasten.
La documentazione in proposito è molto scarsa e tutt'altro che aggiornata.
Per quanto riguarda il versante nord si parla di diverse possibilità, tutte alpinistiche; una potrebbe non avere particolari difficoltà ma si parla di grandi nevai, e questi nel corso degli ultimi anni si sono enormemente ridotti se non sono spariti del tutto. Da sud invece una delle poche descrizioni contempla una cresta forse un po' esposta e grandi pietraie.
Un particolare di cui tenere conto è la lunghezza dell'itinerario. Il versante sud costringe a salire dal Vallone di Chasten, in cui non ho mai messo piede prima dell'agosto 2007; ovviamente non esiste alcun sentiero, tutto va inventato a meno di trovare vaghe tracce di passaggio. Quello di cui siamo sicuri però è che l'attacco da sud andrà spezzato in due giorni; il dislivello da Tollegnaz è di oltre 2000 metri: non certo impossibili se affrontati con il dovuto allenamento, ma comunque un po' pesanti da affrontare in giornata soprattutto considerando che non solo la via va "disegnata" sul versante sud del Nery, ma anche per una buona metà del Vallone di Chasten avanzare è incerto e a tratti faticoso.
Da nord invece si potrebbe fare un tentativo in giornata; raggiunto il Colle Frudière da Estoul o da Graines (più breve da Estoul) ci si trova già alla base del Nery.
La macchina organizzativa si mette finalmente seriamente in moto nell'agosto del 2007, dopo aver sufficientemente esplorato e documentato sia l'avvicinamento da nord che quello da sud.
La sfida viene raccolta da Marco, Lauretta e Giovanni. Si studiano varie possibilità; avendo a disposizione buona parte delle vacanze estive ipotizziamo comunque un'uscita di due giorni. Non esistendo alcun bivacco o rifugio in zona (a parte il recentemente restaurato Bivacco Cravetto sul versante est del Colle Chasten, ma piuttosto lontano dalla base del Nery) si conclude che l'unica cosa da fare sia portarsi le tende e accamparsi vicino al Colle Frudière per tentare da nord o nei pressi dell'Alpe Pera Piccolla per il versante sud.
La tende fortunatamente non sono un problema, ne abbiamo a disposizione due, inutilizzate da tempo ma operative.

8 agosto 2007: iniziano i preparativi.

Una fase preliminare del progetto prevede naturalmente il montaggio di prova delle due tende, allo scopo di verificare che sia tutto in ordine (sarebbe triste accamparci in uno dei due luoghi scelti e renderci conto che manca qualche pezzo, o non ricordarci come assemblarle). Ci basta trovare un prato in piano e con tutta calma fare tutte le prove che ci servono.
Dopo alcuni giorni di tempo splendido, in cui abbiamo occasione di osservare un paio di volte il Nery dal lato di Chasten, le condizioni peggiorano e inizia a far freddo e a piovere. Impossibile uscire anche solo sul terrazzo, diluvia in modo veramente pesante nel giorno in cui ci troviamo (l'8 agosto), e l'unico posto pianeggiante e asciutto che troviamo è il vano comune dei garage del mio condominio.
L'operazione riesce senza particolari problemi, le tende sono integre e il montaggio - compreso il tempo necessario a ricordare come vanno incastrati i pezzi - procede spedito. Alla fine abbiamo i nostri ripari in funzione (foto a sinistra), senza che fortunatamente alcun condomino abbia avuto la necessità di aprire il proprio garage. Tralasciamo solo i picchetti per ovvi motivi, ma verifichiamo che ci siano tutti. Le tende vengono poi smontate e impacchettate (Lauretta e Giovanni prevedono comunque di lavare la propria) e siamo pronti a partire.
Il meteo ci gioca però un brutto scherzo. La pioggia continua, e ahinoi quando le nubi si rialzano e possiamo guardare di nuovo le montagne, è tutto bianco quello che vediamo oltre i 2200 metri. E non è solo una spruzzata di neve, lo strato è consistente, anche il Nery ovviamente è completamente coperto. Niente da fare, bisogna aspettare che la neve si sciolga, cosa che vediamo succedere molto lentamente a causa delle basse temperature che hanno velocemente consolidato lo strato nevoso.
Il 10 agosto ricominciamo a camminare, abbiamo in programma il Texel Horn e la Punta Valfredda. Quest'ultima viene raggiunta, ma dobbiamo realizzare che c'è più neve del previsto e soprattutto che sembra durare troppo per i nostri gusti. Bisogna aspettare ancora.
Le cime che ragiungono la quota del Nery rimangono nella neve ancora per un paio di giorni, quando il ritorno del sole e di temperature più consone al periodo favoriscono la normalizzazione della situazione.
Lasciamo passare la settimana di Ferragosto, in cui effettuiamo altre interessanti gite. La salita al Nery viene posticipata. Le condizioni meteo si mantengono accettabili, non perfette, comunque non sempre adatte a una cima del genere.
Un'altra veloce perturbazione porta ancora pioggia il 16, ma fortunatamente niente neve. Il 17 dalla Becca Torchè possiamo nuovamente osservare la sud del Nery; il versante è sgombro e possiamo finalmente ipotizzare la nostra salita.
Il 18 il tempo è buono, il 19 saliamo al Roisettaz - altra cima attesa da tempo - ma dobbiamo constatare (e provare sulla nostra pelle) che nel pomeriggio le condizioni meteo stanno nuovamente peggiorando, e scendiamo dal Colle Croce sotto una spiacevole grandinata.
L'episodio in sè sarebbe insignificante se legato solo alla tradizionale piovosità della zona dei Tournalin, ma purtroppo la situazione non si normalizza, e soprattutto arriva altra neve a coprire il Nery.
Nel frattempo anche Davide è interessato al Nery; passiamo parecchio tempo (in casa) ad esaminare le vaghe e non aggiornate descrizioni degli itinerari (foto a destra).
Il problema principale però è che sia per me che per Lauretta e Giovanni le vacanze sono ormai agli sgoccioli, e così ce ne torniamo mestamente a casa senza aver potuto tentare nemmeno una volta, e lasciando Marco a Champoluc ancora qualche giorno.
A fine agosto però il tempo sembra rimettersi al bello, la neve se ne va del tutto, ed esistono pur sempre le domeniche: è così che ha inizio il primo tentativo di salita al Nery.
La sera del 1° settembre sono nuovamente a Champoluc; riesaminiamo le varie possibilità di salita e, avendo un solo giorno a disposizione, decidiamo di tentare da nord, dal Colle Frudière.

2 settembre 2007: il primo tentativo. Versante nord.

Sono le prime ore del mattino quando io e Marco partiamo da Champoluc; abbiamo deciso di non raggiungere i Laghi Frudière con la tradizionale marcia da Graines ma da Estoul. Il percorso non è più corto, ma probabilmente il dislivello totale è lievemente inferiore e l'itinerario è più vario.
Saliti dunque in direzione del Colle Ranzola deviamo verso destra poco dopo l'Alpe Fenêtre, valichiamo il colle tra la Punta della Garda e la Punta Regina e scendiamo nel Vallone di Frudière, raggiungendo il sottostante sentiero che sale da Graines nei pressi dell'ultimo ponte. Da lì la salita fino al Colle Frudière è sentiero noto.
Una volta al colle facciamo una piccola pausa. Abbiamo finalmente modo di confrontare sul posto la documentazione in nostro possesso e le cartine con la vera faccia della nord del Nery.
La prima cosa che salta all'occhio è la presenza di sterminate pietraie al posto dei grandi nevai perenni citati nelle relazioni di salita. Questi sono ridotti veramente al lumicino, e probabilmente avranno ben poco effetto ai fini della salita.
La ripartenza dal colle avviene dunque in direzione sud, verso il lungo canalone detritico che punta al colletto tra il Nery e il Marienhorn; lungo questo canale prevediamo di incontrare altri canaloni trasversali (prima occupati in parte dai nevai) che dovrebbero portare in prossimità della cresta sommitale, da raggiungere poi con qualche passaggio su roccia.
La salita è piutosto faticosa; ovviamente non esiste alcuna traccia di sentiero o di passaggio a terra. Solo qualche ometto di pietre sporadicamente ci indica che qualcuno è passato da lì prima di noi.
Dopo un tratto di salita ecco aprirsi a destra il primo canalone. Possiamo finalmente farci un'idea di come sia fatto, di quali siano le condizioni della neve, e soprattutto di cosa lo separi dalla cresta.
La vista da lontano non è molto incoraggiante; il canale è piuttosto ripido ma soprattutto parecchio inclinato lateralmente; il nevaio è ridotto a un triangolino bianco sporco quasi in fondo, abbastanza sottile da reputare anche a occhio impossibile il suo utilizzo per superare una prevista bastionata rocciosa. La bastionata invece c'è eccome; praticamente tutto il vallone è contornato da una parete che da lontano appare come verticale e liscia.
Tutt'altro che impauriti dalla situazione, comunque, imbocchiamo questo canalone e ci portiamo avanti lungo la parete nord, che è ancora in ombra. Il freddo inizia a farsi sentire, a dire il vero; l'estate volge al termine e ormai il sole non scalda più queste rocce.
Il terreno è assolutamente instabile; sostanzialmente si cammina come su una montagna di ghiaia pronta a franare, cosa che accade prontamente sotto i miei piedi facendomi scivolare, fortunatamente senza conseguenze se non quella di ritrovarmi le tasche piene di sassolini, per parecchi metri.
Il nevaio come previsto non aiuterà assolutamente per salire.
Arrivati alla base della parete cerchiamo un punto dove tentare una salita. Premettendo che non siamo arrampicatori, che un III ci spaventa a vederlo in foto, che non abbiamo attrezzatura per proteggere una via e comunque non sapremmo usarla, abbiamo parecchio fegato nel cercare di salire comunque in un canalino ripidissimo e quasi gelato (a posteriori il grado poteva essere considerato di poco superiore al II, ma parecchio sporco e con rocce friabili). Il risultato non si fa attendere: pochi metri di salita e sono costretto a rinunciare, e anche tornare sui miei passi risulta un'operazione tutt'altro che semplice. Tutti gli altri punti sembrano ancora peggio.
NIente, primo tentativo abortito, si torna indietro fino al canale pietroso da cui ci siamo separati per entrare nella valletta, avendo cura questa volta di rimanere un po' più al sole.
Puntiamo poi al secondo canalone. Saliamo ulteriormente fin quasi al colletto a ovest del Marienhorn, e deviamo nuovamente verso destra.
Il panorama è analogo al precedente: altro canale pietroso circondato da pareti rocciose poco invitanti (la cresta di destra separa questo canale da quello del precedente tentativo). Eppure sui libri una via di salita è segnata qui.
Iniziamo a salire in questo canale (siamo ormai oltre i 2800 metri di quota e la vetta è vicina, sembra di poterla toccare...); ne percorriamo solo una parte quando improvvisamente sentiamo cadere dei sassi. Non riusciamo a capire bene da quale punto, nè tantomeno il perchè (piccola scarica, cadute provocate da animali...). Il rumore eccheggia tra le pareti, non sappiamo nemmeno se sia un fatto casuale o l'inizio di una frana che potrebbe anche travolgerci (abbiamo ormai capito che il Nery è una montagna di sassi, da qualunque lato lo si guardi).
Valutata velocemente la situazione, evitiamo accuratamente di avvicinarci a qualunque parete; non perdiamo troppo tempo e alziamo i tacchi, portandoci poi fino al succitato colle tra il Marienhorn e il Nery. Qui è presente un grande ometto di pietre, ma la denominazione "colle" è del tutto inadatta a quello che in realtà si rivela essere l'orlo di un profondo baratro che precipita sul sottostante Vallone di Stolen.
Inutile negare lo sconforto e il senso di sconfitta; certo sapevamo dall'inizio che non sarebbe stato facile, ma dopo tanti successi collezionati nell'arco dell'estate è un peccato doversi rassegnare a far passare un altro inverno in attesa del momento propizio per il secondo tentativo, la via sud con salita spezzata in due giorni.
Riprendiamo dunque il cammino di casa, con l'interminabile discesa sulla pietraia verso il Colle Frudière, che vediamo avvicinarsi molto lentamente.
Discutendo ancora sui fatti della giornata è con parecchio stupore che vediamo del movimento più in basso sulla pietraia: ma non è un animale (in posti come quello è sicuramente molto più probabile incontrare uno stambecco piuttosto che una persona), è qualcuno che sta scendendo. Possibile? Da dove arriva, e quando è salito? Affrettiamo - per quanto possibile - il passo per raggiungerlo, e poco sopra al Colle Frudière abbiamo finalmente modo di toglierci qualche dubbio.
Il signore che ci troviamo davanti, non più giovanissimo, sta proprio scendendo dal Nery. C'è salito dal canalone del nostro secondo tentativo, e i sassi che sentivamo cadere erano stati staccati da lui durante la discesa. Non possiamo nascondere un po' di invidia.
I passaggi su roccia di cui ci parla sembrano però fuori dalla portata di camminatori come noi: è evidente che ci vogliono capacità tecniche che non abbiamo. Si parla di una parete sporca, friabile, che andrebbe adeguatamente protetta per la salita in sicurezza, e per di più con una "pancia" non facile da superare. Non facile per lui, evidentemente arrampicatore con una discreta esperienza, sicuramente pericolosa per noi.
Cionondimeno, lui ce l'ha fatta e per di più in completa solitudine. Lo ammiriamo molto.
Giunti sulle sponde del lago Frudière superiore le nostre strade si separano: noi torniamo in Val d'Ayas, e lui prosegue in quella di Gressoney.

Arriva l'inverno, cade la neve, il Nery è sempre lì a farsi guardare dal basso. Nei mesi bui è difficile pensare che un giorno si potrà tentare nuovamente una salita su quella cima che sembra averci respinti già due volte.
Come se non bastasse l'inverno si prolunga, con nevicate anche abbondanti fino a primavera più che inoltrata. Nel frattempo è cambiato il vento; nella brutta primavera del 2008 non è più Marco l'abituale compagno di camminate. Il progetto "Nery" sembra un po' accantonato in attesa di un'occasione propizia.
Proprio in questa primavera che più invernale non si potrebbe Massi e Nicola, durante una camminata volutamente pesante in preparazione alla futura salita al Bianco (ci riusciranno in luglio) si trovano a percorrere in condizioni di copertura nevosa continua, con partenza da Issime, tutto il Vallone di Stolen, a passare non lontano dal bivacco Cravetto che nessuno di noi aveva mai visto dal vivo, a valicare il Colle Chasten e a scendere sul versante ayassino fino a Challand per mutate condizioni meteo nella Valle di Gressoney. Il bivacco non è lontano dal colle, dunque. Forse la tenda è inutile, si può allungare un po' il percorso ma risparmiare diversi chili in equipaggiamento. Solo che non è ancora assolutamente il momento adatto.

Il tempo passa; finiscono maggio e giugno, e il tempo si mantiene da brutto a bruttino, con alcune camminate che si snodano spesso tra nevai residui e finiscono immancabilmente sotto la pioggia.
Finalmente a luglio le cose sembrano andare per il verso giusto. Il tempo sembra migliorare almeno in parte; Massi riesce finalmente a coronare il sogno di raggiungere il Bianco, mentre il livello della neve finalmente si riporta a quote normali per il periodo. Torna il sole, almeno a tratti.
È proprio Massi a riportare alla luce il progetto del Nery, sepolto da mesi ma mai abbandonato.
Abbiamo ormai appurato che la via più semplice per raggiungere la vetta (io non ho mai arrampicato veramente in vita mia) è sicuramente da sud, in accordo con i progetti non realizzati dell'estate precedente.
Unendo le nostre esperienze, conosciamo ormai il percorso per raggiungere il bivacco Cravetto (abbandonata l'idea delle tende) tanto da Tollegnaz quanto da Issime, quindi il nostro punto d'appoggio sarà senza dubbio questo (non sappiamo in che condizioni sia il bivacco ma sarà sicuramente abitabile per una notte). L'attrezzatura c'è tutta, basta partire.

27-28 luglio 2008: il secondo tentativo. Versante sud.

Foto 4 - L'alpe Pera Piccolla.
Foto 5 - L'incontro con un giovane camoscio. Foto 6 - Arrivo al Colle Chasten. Foto 7 - Ultimi passi prima del bivacco. Foto 8 - La cena è pronta. Foto 9 - Incontri all'alba. Foto 10 - Il Nery dal bivacco. Foto 11 - Salita verso la sella. Foto 12 - Primo impatto con la cresta. Foto 13 - Un passaggio sul versante sud. Foto 14 - Una sottile cengia rocciosa. Foto 15 - Paretina di II. Foto 16 - In cresta, sui sassi. Foto 17 - Finalmente appare l'ometto di vetta. Foto 18 - La foto ufficiale.

I giorni scelti per questo tentativo sono l'ultima domenica e l'ultimo lunedì di luglio.
Una piccola complicazione viene dal fatto che ormai, dando per scontato che non avrei più fatto escursioni prima delle vacanze, tutto il mio equipaggiamento è già stato portato a Champoluc. Abbastanza inutile salire a prenderlo, tornare in valle e risalire fino ad Issime, molto più conveniente partire da Tollegnaz e raggiungere il bivacco via Colle Chasten.
Alle 8 di domenica 27 sono dunque in piedi pronto a partire, quando arriva un messaggio da Massi: non ha digerito la cena, non sta bene e dobbiamo rinunciare.
Sembra maledetto questo Nery: fallito il primo tentativo, ecco andare in fumo anche il secondo, e ancora prima di uscire di casa.
A metà mattina sto ormai pensando a come riorganizzare la giornata, quando arriva un secondo messaggio: sto meglio, andiamo. È tardi ormai, ma in fondo dobbiamo solo raggiungere il bivacco: una camminata di media lunghezza, circa 6 ore, con un dislivello in salita di 1500 metri. Tutto sommato ci basta arrivare per cena.
Una veloce puntata a Champoluc a recuperare zaino, scarponi e sacco a pelo, e poco dopo mezzogiorno siamo in marcia sulla strada che da Tollegnaz sale nel vallone di Chasten.
Il luogo ormai mi è noto, ci sono stato all'inizio di agosto dell'anno precedente. So che la strada si fermerà poco sotto Grün, e da lì sarà tutto sentiero sempre meno visibile fino al colle.
Appena lasciata Tollegnaz ci imbattiamo in un nuovissimo cartello di legno con l'indicazione "Valle di Chasten": possibile che qualcuno si sia preso la briga di ritracciare i sentieri così come sta accadendo anche nella ben più turistica Ayas?
Pausa pranzo nei pressi di ruderi dell'alpe La Sort inferiore, e anche qui un nuovo cartello (leggermente fuori posto per la verità) indicante la biforcazione in corrispondenza della quale si separano i sentieri che percorrono i due versanti della valle. Sarà ben presto evidente come in realtà a parte i cartelli niente è stato fatto per rendere più user friendly la vallata, ma d'altronde è molto meglio così. Preferisco di gran lunga che almeno questa zona non venga colonizzata" da strade e turisti.
Nel tratto prima dell'alpe Pera Piccolla (foto 1) veniamo investiti da un acquazzone piuttosto fastidioso, e ovviamente proprio nella parte di salita più ripida e assolutamente priva di tracce (esistono degli ometti ma sono immersi nell'erba alta e di conseguenza invisibili). L'erba si fa scivolosa e mantenersi in piedi è un'impresa.
Una piccola pausa all'alpe Pera Piccolla per asciugarci un po' e riposarci prima del tratto che precede il colle; sono da poco passate le 16 e non abbiamo particolarmente fretta. Il sole è tornato e con lui anche la visuale sulle Becche di Vlou, Torchè e Mortens. Il Nery è sopra di noi, e il valico è ormai in vista da un pezzo.
La marcia in direzione del Colle Chasten riprende, e poco dopo abbiamo la fortuna di incontrare sul nostro sentiero un giovane camoscio (foto 5). Non ne avevo mai visti a distanza così ravvicinata, normalmente scappano molto prima di riuscire ad avvicinarli. Imprevedibilmente questo non fugge: forse sorpreso ed incuriosito più di noi, si allontana di qualche decina di metri lasciando il sentiero, ma rimane in vista, a portata di teleobbiettivo. Ci osserva poi allontanarci con i suoi occhioni (altre foto nella sezione sul camoscio).
Nel superare gli ultimi salti prima della pietraia che conduce al colle abbiamo modo di osservare un po' il pendio che andremo a risalire il giorno successivo: pendenza abbastanza costante (30° o poco più), erboso in parte e per il resto ricoperto di pietraia; conduce fino alla sella a quota 2900 circa. Arrivare lì non sarà un problema; la cresta però non sembra del tutto amichevole, affilata, frastagliata e senza alcun segno visibile di tracce, ma siamo troppo lontani e soprattutto troppo in basso per poter giudicare. Arrivando dal colle, comunque, potremo mantenerci più in alto del sentiero per perdere meno quota, e puntare quasi direttamente alla sella.
Dal Colle chasten al bivacco il passo è breve (foto 7): sono le 18.23 quando arriviamo di fronte alla costruzione. Ancora non sappiamo come si presenterà il luogo dove passeremo la notte, ma da fuori sembra incoraggiante.
È dunque una piacevolissima sorpresa trovare un bivacco pulito, in ordine e ben attrezzato, munito di tutto il necessario e anche di più. Le prime cose che notiamo sono il semplice impianto elettrico e la stufa a legna, seguite da un fornello a gas che scopriamo subito essere funzionante.
Il sole è ormai tramontato dietro il Colle Chasten e la temperatura sta calando abbastanza velocemente, pertanto in cima alla lista delle cose da fare c'è sicuramente l'accensione della stufa. Vicino c'è tutto il necessario, compresa la carta, ma manca la legna.
Esplorando il bivacco scopriamo alcuni vecchi bancali nel locale attiguo. Sempre di fianco alla stufa abbiamo visto una sega e un'accetta: ecco a cosa servivano!
Ci dedichiamo così per un po' a fare i boscaioli, riuscendo a recuperare alcuni pezzi di legna da ardere.
Piazzata nella stufa, non possiamo che costatare con disapprovazione che tanto la carta quanto la legna sono umide e che ottenere il fuocherello che ci serve per scaldarci e asciugarci non sarà un giochino! Non troviamo alternativa migliore di utilizzare il fornello per asciugare un primo pezzo di legno: una volta acceso quello nella stufa, useremo il suo calore per asciugarne altri. Il piano fortunatamente funziona, e il riscaldamento del bivacco è bell'e fatto.
Viene poi da affrontare la questione della cena: il problema non c'è perchè abbiamo con noi il necessario. Accantonato per il pranzo del giorno dopo il panino, utilizziamo una piccola parte della scorta d'acqua per cucinare, grazie al fornello, un pacco di fusilli coi funghi (foto 8). Scaduti, ma non subiremo nessuna conseguenza.
Adeguatamente rifocillati e constatato che la legna è finita e gli spifferi si fanno sentire, poniamo fine alla giornata infilandoci nei sacchi a pelo.
Inutile dire che conosco me stesso, so che in situazioni simili io difficilmente riesco a dormire, per cui sono stato previdente e mi sono portato anche questa volta il mio lettore di MP3, grazie al quale riesco ad ottenere almeno un po' di relax.

La mattina successiva la sveglia è necessariamente di buon'ora, alle 5.30. Non conosciamo l'effettiva lunghezza del percorso che ci aspetta, ed è opportuno partire presto.
Non sono ancora le 6 quando sentiamo qualcosa muoversi vicino al bivacco. Sarà già arrivato qualcuno? Strano... dovrebbe essere partito di Issime in piena notte, e per venire fin qui non vale la pena.
Aprendo la porta ci troviamo però quasi circondati da un gregge incustodito di pecore incuriosite (foto 9) - e con tutta probabilità alla ricerca di qualcosa da mangiare.
Una veloce colazione e via, si riparte in direzione del Colle Chasten lasciando ovviamente il bivacco pulito e in perfetto ordine, "arricchito" solo delle nostre firme sul registro.
Le condizioni meteo non sono però perfette; il Nery si presenta con la cima coperta dalle nuvole (foto 10). Prima delle 7 siamo al valico; da lì possiamo osservare come il cielo sulla valle centrale sia sereno, e che ci sia solo una debole (ma è molto presto) attività cumuliforme sulle vette. La visibilità è buona ma non eccezionale, a testimonianza di un grado di umidità non proprio bassissimo. Ma siamo ancora abbondantemente sul "go".
Lasciato il colle evitiamo, come previsto il giorno precedente, di perdere troppa quota, e tagliamo in orizzontale piegando poi dolcemente verso nord e affrontando il lungo pendio che ci condurrà alla selletta sulla cresta a quota 2900 circa.
Giunti in un punto in cui ripasseremo sicuramente scendendo, ci liberiamo di quanto non ci servirà: sacchi a pelo, scarpe leggere, scorta d'acqua ecc. ecc.; lasciamo tutto dietro una roccia riconoscibile anche dall'alto e salviamo le coordinate sul GPS. Speriamo solo che nessun animale vada a rovistare nei sacchetti, ma del resto non abbiamo lasciato cibo.
Entriamo ben presto nelle nubi (foto 11); non possiamo sbagliare strada più di tanto, perchè in realtà ci basta salire lungo la massima pendenza.
Le nubi si aprono e si chiudono in continuazione; possiamo a tratti vedere le Becche, il Colle Chasten, il bivacco che ci ha ospitati (e il sovrastante laghetto, di cui ignoravamo completamente l'esistenza) , qualche stambecco sulla cresta sud del Nery.
Quando arriviamo finalmente alla selletta siamo immersi nella nebbia, con poco più di una decina di metri di visibilità, e le impressioni non sono delle migliori (foto 12). Non si capisce nemmeno se sarà necessario percorrerla su uno dei due versanti (ripidissimi) o rimanere sul filo. A nord intanto si intravvedono i laghi Frudière e la zona dei M. Taf, Taille e Rena.
Scartata fortunatamente la prima ipotesi di tagliare la parete nord (non ricordiamo su quale versante sia il passaggio di cui abbiamo trovato scarna documentazione; avremo poi modo di dire che se avessimo tentato a nord questa pagina probabilmente non sarebbe mai esistita...), ci sembra poi di intuire un passaggio a sud. Parecchio contorto, con continui piccoli saliscendi e su terreno non proprio affidabilissimo, ma dalla nebbia emerge anche un ometto di pietre. La via è sicuramente quella, anche se si perde nella nebbia.
Iniziamo dunque a seguire l'esile sentierino - viene spesso il dubbio se le tracce siano veramente umane o lasciate da animali, ma prontamente appare un nuovo ometto - che si mantiene sempre alcuni metri sotto il filo di cresta. Il suolo è terroso, a tratti erboso (foto 13), con diversi passaggi su roccia (foto 14). L'inclinazione laterale è decisamente pronunciata e non cala mai; preferiamo non pensare alla possibilità di scivolare giù.
Bisogna spesso usare le mani per farsi strada tra le rocce, ma la difficoltà si mantiene intorno al I grado.
La cresta è frastagliata, come un susseguirsi di piccole anticime; la traccia le aggira sempre sul lato sud guadagnando lentamente quota. Dopo quella che scopriremo essere la penultima di queste anticime affrontiamo il punto chiave della traversata, con lo scavalcamento di un canalino davvero ripido e friabile, e una paretina di II da disarrampicare (foto 15).
Superato questo punto il sentierino si porta sul filo di cresta, e appaiono alcuni vecchi segni di vernice rossa. Abbiamo lasciato la sella di quota 2900 da più di un'ora ormai, il GPS ci indica con precisione la nostra posizione, e guardando le isoipse sul display deduciamo che non può più mancare molto, ma la nebbia ci impedisce ancora di capire quali difficoltà ci aspettano.
Intanto però la situazione del terreno è nettamente migliorata: la cresta su cui ci troviamo è larga almeno un paio di metri, più tondeggiante e sicura, e procediamo più spediti. Superiamo ancora un tratto lievemente più affilato, composto da sassi rossastri, e purtroppo con visibilità azzerata.
Dopo questo punto la cresta tende ad allargarsi. La visibilità migliora di qualche metro, e appaiono due ometti più grandi. Dietro le nuvole sono illuminate dal sole, e non si sale più. Allora... questo cumulo di sassi è la vetta del Nery (foto 17). Sono circa le 10.30.
Camminando verso l'ometto più grande per toccarlo volutamente nello stesso momento caschiamo quasi in braccio a uno stambecco che si sta godendo accucciato i raggi di sole che iniziano a filtrare dalle nuvole, e che si dà immediatamente a gambe levate (non l'avevamo visto...).
La cima si presenta decisamente sassosa ma inaspettatamente ampia; può ospitare almeno una ventina di persone, ammesso che ce ne siano mai state così tante contemporaneamente.
Appoggiamo gli zaini alla base dell'ometto più grande, che scopriamo ospitare in una nicchia il libro di vetta. Il sole fa capolino e ci scalda; non c'è vento e la temperatura è piacevole. Peccato per la visuale che si mantiene purtroppo alquanto ridotta.
Sbucano a turno il sottostante Marienhorn, i laghi Frudière, l'infernale pietraia dove si è snodato il percorso del primo tentativo, e l'affilata cresta nord che avremmo dovuto affrontare quel giorno.
Inevitabilmente, nella foto ufficiale (foto 18) il panorama è nullo nonostante noi siamo in pieno sole. Pazienza.
Non abbiamo una fretta estrema di tornare a valle. Ci godiamo un po' il fatto di essere lassù, in quel luogo aspro e isolato dal resto del mondo, ma tutto sommato accogliente, e soprattutto tanto sospirato.
Il nostro itinerario di discesa dal Nery ricalcherà quello utilizzato per salire fino al punto in cui abbiamo lasciato parte dell'attrezzatura; da lì ovviamente anzichè puntare nuovamente al Colle Chasten scenderemo fino al sottostante sentiero, e una volta raggiuntolo riprenderemo la strada di casa via alpe Pera Piccolla.
Mangiamo con calma ciò che avevamo tenuto per il pranzo del secondo giorno, e ci accingiamo poi a riprendere il cammino.
Le condizioni meteo non sono certo migliorate, la visibilità in cresta è sempre scarsa, ma il rischio di pioggia sembra nullo.
La piccola parete di II questa volta va affrontata in salita, ed è nettamente più facile. Il resto della cresta presenta difficoltà che ormai conosciamo.
Verso la fine del tratto aereo contattiamo alcuni membri di AroundAyas e li informiamo dell'avvenuta "conquista" del Nery: eravamo infatti partiti organizzando quasi all'ultimo momento lasciando tutti all'oscuro (ci riproponiamo di guidare un piccolo gruppo scelto quando possibile! Si parla ormai dell'estate 2009).
Il resto della camminata riserva poche sorprese, ma è inevitabilmente lunga - come già scritto sopra, il dislivello sfiora i 2100 metri.
La pietraia sotto la selletta ovest è noiosa; la percorriamo con gli occhi sul display del GPS, puntando direttamente al punto dove recupereremo i sacchi a pelo e il resto. Poco dopo incroceremo il sentiero 2, e da lì il ritorno all'alpe Pera Piccolla è veloce.
Il tratto sotto l'alpeggio, che sappiamo essere ripido e che il giorno prima abbiamo risalito sotto la pioggia, è ancora umido. Scivolando su un sasso liscio nascosto dall'erba alta finisco letteralmente a gambe all'aria, ma fortunatamente la stessa erba attutisce la caduta e nè io nè l'attrezzatura delicata (macchina fotografica, GPS ecc.) subiamo alcun danno.
Il ritorno alla "civiltà" comprende anche un veloce spuntino all'alpe Pra Baluard e l'incontro con un colubro liscio, animale difficile da osservare e inizialmente scambiato per una vipera (ma con sua reazione enormemente più fiacca).
Brindisi infine in un bar di Tilly per festeggiare la riuscita dell'impresa.

La nostra gita e le impressioni che riporteremo e pubblicheremo (qui e su AroundAyas) avranno un inatteso strascico di polemiche, soprattutto circa il grado di difficoltà da noi indicato, ma col tempo diventerà chiaro che le discussioni a tal proposito erano fortemente strumentalizzate: inutile comunque riaprire la questione a distanza di mesi. Ciò che rimane è solo il ricordo di una bella avventura: due giornate in un vallone selvaggio e poco battuto, la prima (per me) esperienza in bivacco, l'avventurosa accensione della stufa, cucinare il cibo, svegliarsi all'alba e ritrovarsi circondati da animali al pascolo e... quasi per ultima... il raggiungimento di una nuova cima. Insomma, un'esperienza a 360° da conservare nei cari ricordi.
E l'intenzione naturalmente di tornare lassù in una bella giornata di cielo sereno!

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