2 aprile 2006. Tempo splendido, temperature gradevoli, previsioni buone per
tutta la giornata, e come tante altre volte eccomi con Massi all'incontro
con Marco, proveniente da Biella, alla stazione di Santhià. La voglia
di fare qualcosa di interessante oggi è tanta, e guardare le montagne
dall'autostrada è un invito irresistibile.
Abbiamo con noi l'attrezzatura da neve, quindi racchette, bastoncini, ghette;
Marco ha messo nello zaino anche i ramponi. Il nostro allenamento è
medio, e l'intenzione sarebbe quella di migliorarlo.
Non sappiamo ancora bene cosa fare. Il disgelo è in corso, non conosciamo
nel dettaglio il grado di innevamento, ma il rischio valanghe è 2.
Accettabile con attenzione. La stagione sciistica è ancora aperta,
quindi dovremo evitare di attraversare le piste; la cosa ci limita abbastanza
nella scelta dell'itinerario.
Al Pian di Verra inferiore quest'anno siamo stati già due volte, siamo
anche già andati al Superiore e anche a Resy, per non dire che ci
siamo già fatti anche la Falconetta e il Palon di Resy (ma questi
sono off-limits perchè c'è ancora troppa neve).
La proposta di salire da Estoul all'Alpe Litteran, sopra all'omonimo lago,
viene accettata. Si ipotizza anche di poter proseguire in direzione del monte
Bieteron, cima che abbiamo sempre considerato fattibile senza problemi, ma
che abbiamo anche sempre snobbato in favore di cose migliori. Rotta su Estoul,
allora, meta di mille altre camminate. Ci sarebbe anche l'idea di valutare
la possibilità di scendere dal lato opposto, in direzione dei laghi
di Estoul, che tra le altre cose nessuno di noi ha mai visto. Il sentiero
non è segnato sulla cartina, ma dovrebbe essere fattibile.
Alle 10.05 inizia il cammino. Il grande prato in leggera pendenza sopra al
parcheggio è completamente coperto di neve, ma è ancora presto,
e riusciamo ad evitare le racchette. Ci sono pochissimi centimetri di neve
farinosa su un fondo più consistente, che regge senza problemi il
nostro peso.
La temperatura è gradevolissima, il sole scalda, il cielo è
perfettamente sereno, la visibilità praticamente illimitata. Cosa
ci può fermare? Situazione spettacolare.
Rimaniamo sulla strada sterrata, che conosciamo perfettamente per averla
percorsa infinite volte dalla primavera all'autunno. Il panorama innevato
ci offre però un'ambiente in parte nuovo.

Raggiungiamo velocemente il punto in cui la strada incontra la pista da sci;
non ci sono molti sciatori, ma evitiamo di attrraversarla, e come progettato
puntiamo direttamente in direzione dell'alpeggio, che non vediamo ma di cui
conosciamo la posizione.
La nostra salita si fa più ripida (
foto a sinistra); io e Massi proseguiamo con i semplici
scarponi, mentre Marco preferisce mettere le ciaspole per non sprofondare.
Un tratto inclinato lateralmente gli darà però qualche noia,
e lo costringerà a sforzare una gamba. Raggiungere l'alpeggio è
solo questione di tempo; da lì ci possiamo affacciare sul vallone
dei Palasina, che ben conosciamo, con gli omonimi laghi e l'omonimo colle,
nonchè il rifugio Arp e la conca del lago Bringuez.
Incontriamo uno sciescursionista che ci dice che il giorno prima nevicava.
La cosa non ci stupisce, perchè in pianura in effetti ha piovuto per
parecchie ore.
Io non sono mai stato su quel piccolo pianoro, che ho sempre visto dal basso,
dove è posta una lapide che ricorda che il 13 luglio 1999 Giovanni
Paolo II è stato lì. Non lo sapevamo; in ogni caso la cosa
è significativa perchè oggi è il primo anniversario
della sua morte.
Scattiamo la tradizionale foto di gruppo, e valutiamo poi la possibilità
di proseguire verso il facile Bieteron. Si tratta di un prato innevato in
salita fino all'anticima, poi non sappiamo nemmeno. La neve sembra comunque
poca e ben assestata, non ci dovrebbe essere rischio di valanghe.
Vediamo due uomini quasi sull'anticima, e decidiamo con felicità di proseguire.
Questo tratto non è difficile per niente, tutt'al più può
essere un po' faticoso (la pendenza può superare i 30°) e un po'
monotono. Massi procede a zig-zag, io preferisco salire in linea retta. Marco
in compenso è un po' in difficoltà, anche senza racchette; gli duole la gamba sforzata
nella parte sotto l'alpeggio.
Incrociamo i due che avevamo precedentemente visto salire; ci informano che
non dovrebbero esserci problemi a salire, e che dopo l'anticima c'è
una cresta "un po' esposta" e poi l'ultimo tratto.

Stimano in un'ora il tempo
necessario dal punto in cui ci troviamo (
foto a destra).
Procediamo comunque un po' a rilento, ma senza particolari soste, e raggiungiamo
senza troppi problemi l'anticima, preceduta da una zona più sassosa. La temperatura non è più
così piacevole e si è alzato anche un po' di vento decisamente
fresco. Comincia anche a farsi sentire un certo qual buco nello stomaco,
e prendiamo la decisione di consumare almeno una prima parte del pranzo lì,
prima di affrontare la cresta, che inizia proprio alle nostre spalle, e l'ultimo
tratto.
Il panorama è splendido, riconosciamo addirittura la pista dell'aeroporto di Aosta.
Una volta coperti adeguatamente comunque l'unico problema ce l'ha Marco che
durante la delicata operazione di taglio del pane si "affetta" anche un dito,
ma niente di grave.
Una coppia di corvi ci osserva dalla cresta; probabilmente il loro nido è
nei paraggi, e si sentono minacciati dalla nostra presenza.
Tempo di segnare il nuovo waypoint sul GPS e ripartiamo. Notiamo che da nord
stanno entrando alcune nubi apparentemente innocue, a occhio direi dalla
Valpelline o giù di lì.
La crestina si presenta subito non proprio elementare; l'inclinazione del
pendio da entrambi i lati è superiore ai 45°, ricoperto di neve
sul versante nord e di erba secca e scivolosa a sud. Non c'è proprio
verso di aggirare il frastagliatissimo profilo di questo lembo di terra nel
cielo, e la presenza di una certa quantità di neve tra un masso e l'altro
ci costringe a inventarci qualche acrobazia per avanzare evitando di mettere
i piedi sulla neve che potrebbe nascondere pericoli che ignoriamo completamente (
foto a sinistra).

Il primo tratto di cresta scende di qualche metro, per poi risalire più
o meno alla quota dell'anticima nella seconda, che si presenta più
liscia ma completamente ricoperta di neve. Non avevamo mai notato questa
crestà nè tantomeno l'anticima, e neppure ci eravamo mai informati
su come fosse fatta questa montagna prima di partire.
Ad ogni modo, superato questo tratto aereo, ci troviamo sul pendio finale. Sopra di noi la cima del Bieteron (
foto a destra).
Il prato si presenta ricoperto di neve solo in parte, con diverse aree erbose,
ma la cosa non ci semplifica il cammino perchè l'erba secca non offre
la necessaria aderenza agli scarponi. Marco continua ad avere problemi alla
gamba, ma ormai ci siamo quasi.
La cima è lì, sopra di noi, si fa desiderare ma non arriva
mai. Siamo sicuramente i primi a passare da lì da molto tempo; non
ci sono impronte di nessuno sulla neve. Questo significa che i due signori
con le racchette che abbiamo incontrato si sono fermati all'anticima, dove
in effetti le loro tracce si fermavano.
Io sono il primo ad arrivare, e guardando verso Massi e Marco, pochi metri
più in basso, alzo le braccia al cielo in segno di vittoria. Un'altra
cima conquistata, un'altra giornata da segnare sul calendario.
Il panorama da lassù è bellissimo, aperto in ogni direzione,
non essendoci cime più alte nelle immediate vicinanze.
Il rifugio Arp è laggiù, un cubetto grigio nel bianco che
avvolge ancora quasi ogni cosa. E poi la conca dei laghi di Valfredda, dove
io e Massi siamo già stati, la cresta verso il Corno Vitello, e la
punta Guà, altra meta in programma per quest'anno. Più lontano
è spuntato il Cervino, che però è in parte immerso nelle
nubi che sembrano essersi moltiplicate in cielo (la copertura è arrivata
a circa 5/8 nella nostra zona); il fatto che ne arrivino da nord ma anche
da sud non è certo un bel segno. Si vede anche parte della Gobba di
Rollin, e poi tutta la parte est del Rosa, con i Lyskamm, la Piramide Vincent,
la punta Gnifetti... a sud vediamo le Dame di Challant, la valle dei Frudière,
a ovest la Testa di Comagna, il Col de Joux, e tutta la Valle d'Aosta, con
il Bianco, il Gran Paradiso, la Grivola e mille altre vette.
La cima si presenta piuttosto spaziosa, nonostante il versante sud davvero
ripido e lo strapiombo verso nord. Non c'è nessun segno di passaggio
umano a parte quello che appare essere un piedistallo di metallo arrugginito,
che forse fungeva da basamento per una croce (che non manca su nessuna montagna).
Massi e Marco non sembrano essere dell'idea di scendere da dove siamo saliti;
la cresta a quanto pare non è piaciuta molto. Va beh, inventiamoci
un sentiero verso est.
Il pendio scelto per il ritorno è davvero ripido, ma sembra tutto
sommato attraversabile. Ci sono alcune chiazze di neve più in basso.
Non sembrano esserci pericoli; in fondo alla discesa c'è un grande
pianoro con tracce di sciatori, e identifichiamo la probabile posizione dei
laghi di Estoul nella conca che chiude la valle verso est, al confine con
la valle di Gressoney.

Foto di rito in vetta alle 14.34 (
foto a sinistra), e sapendo che la discesa potrà richiedere parecchio
tempo non tardiamo a ripartire. Sono circa le 14 e 40 quando ci rimettiamo
gli zaini in spalla e iniziamo il cammino.
Cammino che si presenta subito piuttosto problematico: il prato è
molto ripido, anche oltre i 45°; l'erba pettinata verso il basso è
un'insidia che sappiamo di dover evitare, e siamo costretti a cercare il
terreno adatto dove appoggiare il piede ad ogni singolo passo.
La cima si allontana, mentre l'intensità del vento aumenta. Non sappiamo
a cosa andiamo incontro, e saranno guai, guai seri.

Siamo presto in difficoltà; identifichiamo in un poggio sotto di noi
la salvezza, ma questo non si avvicina mai (
foto a destra). I punti coperti di neve sono
più insidiosi di quelli incontrati durante la salita, perchè
la neve è meno compatta. Avanziamo di pochi centimetri per volta.
Massi per primo, io più indietro, Marco poco dopo di me.
Su uno di questi nevai Marco perde l'aderenza e scivola. Mi volto e lo vedo puntare, completamente senza controllo, verso di me.
Ragionamenti che si susseguono nell'arco di un secondo scarso: non riuscirà
a fermarsi prima di avermi raggiunto; se rimango qui mi falcerà; potrei cercare
di fermarlo; pesa molto più di me e mi porterebbe giù con lui.
Detto fatto, mi scanso e lo lascio passare. In fondo al nevaio c'è
un punto quasi pianeggiante con Massi; Marco arriverà lì e
si fermerà. Appena riprendo il cammino scivolo anch'io e lo raggiungo;
la cosa si conclude con una risata e il cammino prosegue.
Poco dopo siamo costretti a deviare verso est per aggirare una paretina; qui
Marco finisce in un punto un po' critico, dove non trova spazio per appoggiare
i piedi in sicurezza, e impiega diversi minuti per uscirne. Il vento intanto
è diventato decisamente forte e solleva nuvole di neve farinosa del
giorno precedente.
Massi intanto ha raggiunto il punto pianeggiante tanto atteso, dove secondo
quanto osservato dall'alto dovrebbe concludersi la parte più difficile
della discesa. Esplora il poggio, che si rivela invece per quello che è:
un prato sull'orlo di un precipizio di decine di metri.
Siamo in trappola.
Massi prova a osservare ciò che segna la fine del pianoro a est; mentre
si avvicina al bordo io sono più in alto e vedo dove si trova. "Non
fare un passo in più!" gli grido. L'esperienza di montagna gli ha
permesso di prevedere questo pericolo, e si sarebbe fermato comunque: un
altro passo e si sarebbe trovato su una cornice di neve, sovrastante un canale
inclinato di oltre 60°.
Sono le 15.43. La discesa è iniziata da più di un'ora; tornare
in cima vorrebbe dire perderne almeno due per ritrovarsi al punto di partenza,
e dover poi scendere stremati sul versante est, da cui siamo saliti, percorrere
la cresta e tornare a Estoul probabilmente dopo il tramonto.
Siamo preparati a quest'evenienza, ma vorremmo evitarla. Proseguiamo con
l'osservazione della zona in cui ci troviamo, e quello che vediamo non è
certo incoraggiante.
Il pendio continua verso est, gira intorno al Bieteron. L'ipotesi di sfruttare
il canalino per scendere in modo più o meno controllato viene scartata,
perchè vorrebbe dire farsi sicuramente del male.
Dalla nostra posizione è difficile capire come continua questo versante
in direzione dello spartiacque con la valle di Gressoney. Ci sono diverse
zone rocciose, dei cambi di pendenza, non sappiamo cosa fare.
Alla fine decidiamo di continuare verso est, verso le tracce lasciate dagli
scialpinisti. Sono queste tracce ad essere identificate come salvezza adesso.

L'unica nota positiva è che ci siamo portati in una zona un po' più riparata dal vento (
foto a sinistra).
Ci alterniamo in testa al gruppo. Sotto di noi il pendio è sempre
troppo ripido per essere affrontato; la neve sembra abbastanza stabile ma
non possiamo pretendere troppo.
Sono io il primo nel punto in cui incrociamo una traccia. Non fresca, non
chiara, non identificabile con sicurezza. Non sembra umana, probabilmente
è stata lasciata da un animale, magari una lepre. Però scende,
potrebbe essere un buon segno.
Inizio
a seguirla, ma ben presto questa si porta troppo in basso, e non posso continuare
perchè l'inclinazione è davvero troppo elevata (a occhio oltre
i 60°). Niente da fare, bisogna salire per aggirare alcune rocce affioranti.
Marco e Massi risalgono insieme, io sono già oltre e non
torno indietro; i nostri cammini si incontreranno poco più avanti, dopo
parecchi metri di risalita su neve a circa 50° (
foto a destra).

Non è facilissimo mantenere
calma, precisione e sangue freddo. I nervi di Massi danno qualche segno di
cedimento, ma non è il momento adatto.
La situazione è seria. Ci siamo trovati - e ce la siamo voluta - in
condizioni alpinistiche non elementari senza avere l'attrezzatura necessaria.
Con piccozza, ramponi, imbraghi e corda sarebbe tutta un'altra storia. Ci
sarà tutto il tempo per riflettere sui nostri errori, adesso bisogna
uscirne interi. A ogni passo dobbiamo cercare e
creare la necessaria tenuta piantando gli scarponi nella neve, ma la sensazione
di sicurezza è ben lontana.
A dire il vero Marco ha i ramponi nello zaino, ma come potrebbe toglierselo
e appoggiarlo per terra senza vederlo inesorabilmente rotolare verso valle?
Per non parlare dell'operazione di allacciatura...
Non crediamo ai nostri occhi quando, più avanti, vediamo che il pendio
che stiamo tagliando in orizzontale ormai da un pezzo, pur non diventando
meno ripido, non sovrasta più una parete verticale, ma digrada
finalmente verso il fondovalle. Ce l'abbiamo fatta.
Sono circa le 16.15 quando raggiungiamo le tracce degli sci. Il GPS dice
che siamo ancora a 2590, ciò significa che per perdere 173 metri abbiamo
impiegato quasi due ore.
Ci concediamo qualche minuto di necessario relax su una roccia, noncuranti
del pendio carico di neve sopra di noi, ma fortunatamente questa è
abbastanza stabile da non cadere... non in quel momento, per lo meno. Da
lì possiamo osservare parte delle tracce lasciate durante il nostro
traverso.