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DIARIO DEL GRAND ASSALY

Diario del Rutor
Foto panoramiche

5 agosto 2016: -3

Ore 18.46, messaggio da Giovanni: "Domenica-Lunedì gita Grand Assaly ci sei?". Che è un po' come dire che le proposte che non si possono rifiutare arrivano senza preavviso.
Tornando indietro di molti passi: Grand Assaly, cima di 3174 m. nel gruppo del Rutor. Bella montagna appuntita che affianca il ghiacciaio del Rutor che già conosco, dopo la salita alla Testa del Rutor del 2010 e un successivo pernottamento al Deffeyes con successiva traversata ai Laghi di Bellacomba a metà luglio del 2013.
Difficoltà della salita: PD- o PD+ a seconda della cresta, pezzetto di ghiacciaio e una parte non lunga ma esposta su roccia abbastanza ben appigliata, almeno questo è quanto si legge in giro. Dislivello complessivo intorno ai 1600 m. inclusi saliscendi (comunque spezzati in 2 giorni). Sono preoccupato preventivamente? Sì, come ogni volta che vado a fare qualcosa che supera l'F. Non per il dislivello o la lunghezza, ultimamamente ho fatto di più. Nemmeno per il ghiacciaio a dire il vero, non è certo il primo che vedo. Mi intimorisce un pochino la parte su roccia, che non è il mio forte anche se generalmente mi ci diverto lo stesso. Si parla di un II grado, di solito non me ne preoccupo. La voglia di salirci - dopo aver considerato a lungo leggendaria anche questa cima, per la verità ben poco frequentata - è però troppa per rinunciare a tavolino, e non sarebbe da me tirarmi indietro. Il 6 (sabato) gita fino al Lago di Rollin e/o al Gran Lago delle Cime Bianche con il gruppo Ripartire dalle Cime Bianche, e poi inizierà questa nuova avventura.
Il gruppo è rodato: Lauretta e Giovanni che non hanno sicuramente bisogno di presentazioni, Patrizia e Massimo già compagni di qualche arrampicata e di altre uscite come la traversata della Vallée Blanche e il Testa Grigia (escursione 20). Uno squadrone. Alla fine, anche questa volta quello scarso sono io.
Ce la faremo? Vedremo. Intanto ci proviamo, che è il modo giusto per capirlo.

6 agosto 2016: -1

Oggi gita al Gran Lago delle Cime Bianche e alla Comba di Rollin con divagazioni varie. 20 km e 1300 m. di dislivello tanto per non partire fresco il giorno dopo, spero di non aver esagerato...

7 agosto 2016: giorno 1

Foto 1 - Parcheggio di La Joux: inizia l'avventura.
Foto 2 - La prima cascata del Rutor.
Foto 3 - Il Lac du Glacier.
Foto 4 - I ghiacciai del Rutor e il Grand Assaly a destra.
Foto 5 - Il Lago dei Seracchi e la bastionata intorno alla cascata.
Foto 6 - Il Deffeyes e il Grand Assaly al tramonto.
Foto 7 - A domani Grand Assaly.
Foto 8 - Partenza all'alba.
Foto 9 - I primi raggi di sole sul Bianco e il Lago dei Seracchi.
Foto 10 - Attraversamento dell'altopiano.
Foto 11 - Salita su detriti verso il ghiacciaio.
Foto 12 - Sul pendio detritico con i ghiacciai del Rutor come sfondo.
Foto 13 - L'attacco del ghiacciaio.
Foto 14 - Salita nel centro del ghiacciaio.
Foto 15 - Uscita dal ghiacciaio al Colle Assaly.
Foto 16 - Il passaggio chiave e la linea di salita.
Foto 17 - Uscita dal passaggio chiave.
Foto 18 - In vista della vetta.
Foto 19 - Panorama dalla vetta, dal Bianco al Rutor.
Foto 20 - Inizio della discesa.
Foto 21 - Calata in doppia dal passaggio chiave.
Foto 22 - Discesa sul ghiacciaio.
Foto 23 - Superamento della bastionata.
Foto 24 - Arrivo al rifugio.

L'appuntamento è alle 10 alla Fromagerie di Brusson. Si può evitare di svegliarsi all'alba questa volta.
Le gambe sono un po' frolle ma non distrutte; considerato che il dislivello di oggi è di circa 800 m. (si tratta solo di raggiungere il rifugio Deffeyes e non abbiamo nemmeno fretta) non dovrei avere problemi nonostante lo zaino sia davvero pesante perchè contiene tutto il necessario sia per la roccia che per il tratto su ghiacciaio. Opterei per lasciare tutto ciò che non sarà necessario per la salita (scarpe leggere, sacco letto, vestiti di ricambio ecc.) al rifugio e poi recuperarlo al ritorno, spero che sia possibile. Idea analoga per la seconda parte della salita: sarebbe una buona idea lasciare ramponi e picche all'inizio della parte rocciosa e salire in vetta ulteriormente scarichi. Considerata la scarsa frequentazione della zona, difficilmente qualcuno passerà a rubarci l'attrezzatura...
Arrivo al parcheggio con un leggero anticipo, seguito subito dopo da Patrizia e Massimo. In pochi minuti il gruppo si completa; carichiamo gli zaini sulla macchina di Giovanni e lasciamo la valle.
All'arrivo a La Joux (foto 1), il primo problema, già ipotizzato durante il viaggio: i parcheggi sono ovviamente pieni (è una magnifica domenica di agosto). Scarichiamo tutto e Giovanni scende a parcheggiare più in basso, fino a Promise, risalendo a piedi lungo il sentiero. Riunitici, iniziamo la salita con il peso degli zaini megalitici sulle spalle.
Conosciamo già bene questo sentiero; non solo siamo già saliti anni fa per il Rutor, ma ultimamente l'ho percorso altre tre volte. Osserviamo la prima cascata dal balconcino panoramico (foto 2), ma per motivi di tempo e... spalle tralasciamo le altre, che richiederebbero due brevissime digressioni.
Incontriamo naturalmente moltissima gente lungo il percorso; le cascate del Rutor sono mete turistiche molto conosciute. In più ci troviamo sull'Alta Via 2. Curioso osservare come quasi tutti gli escursionisti che la percorrono sono stranieri (soprattutto francesi o comunque francofoni): evidentemente in Italia in pochi hanno questa cultura, mentre altrove il trekking è una vacanza più comune.
Superiamo il Lac du Glacier e percorriamo la serie di tornanti che superano l'ultimo salto di quota e che sembrano non finire mai, affaticati non solo dal carico ma anche dal caldo che ci accompagna già dalla partenza. La nostra meta di domani è già visibile da tempo (foto 3), e ci mostra il suo scuro versante nord, macchiato solo da qualche piccola chiazza di neve. Il tempo si mantiene eccellente, con alcune nuvole sulle cime lontane; per tutta la salita ci fa compagnia il panorama sul gruppo del Bianco.
All'arrivo al rifugio, immerso in una conca verdeggiante a cui fanno da sfondo i ghiacciai del Rutor (foto 4), dobbiamo constatare come l'affollamento sia davvero notevole, e c'è anche un gruppo di scout che però si accamperanno un po' più a ovest. Verosimiilmente sarà praticamente pieno anche di notte, non saremo soli in camera come la volta precedente (quando comunque eravamo scappati al piano superiore, messi in fuga dal potente russare di quattro finlandesi). Stranamente ci sono anche degli italiani, il resto probabilmente francesi.
Lasciamo gli zaini nel gabbiotto vicino all'ingresso, preleviamo delle ciabatte (nel rifugio non si entra con gli scarponi) ed entriamo portando con noi il necessario per la notte in contenitori di plastica bianca. Ci assegnano la camera 11, camerone al secondo piano. I letti sono ancora tutti liberi, ma difficilmente lo rimarranno. Occupiamo i tre letti a castello (due e mezzo veramente) sul lato sinistro e li prepariamo subito. La cena è alle 18.30, a cui seguirà un secondo turno (come previsto, il rifugio è pressochè pieno).
C'è il tempo per studiare la prima parte di percorso. Le opzioni sono due: mantenere la quota e superare un ponte tibetano sull'emissario del Lago Superiore del Rutor o scendere di un centinaio di metri, aggirare il sottostante Lago dei Seracchi e risalire la bastionata di rocce montonate che porta alla quota del ponte di cui sopra, dove poi le due tracce si riuniscono (non esistono in realtà sentieri, solo serie di ometti di pietre pure abbastanza distanziati). Decidiamo di effettuare un sopralluogo in previsione dell'aggiramento (trovo divertente l'idea del ponte ma tecnicamente più complicata, soprattutto nella parte centrale dove il cavo inferiore inevitabilmente farà più "pancia" del superiore); scendiamo così al Lago dei Seracchi e ne percorriamo le sponde in senso antiorario fino alla base della bastionata.
Qualche ometto indica un vago percorso ma poi sembra perdersi senza indicare dove risalire questo salto di rocce. Si intravvedono diversi punti buoni ma nessuno eccezionale, almeno a occhio (foto 5). Un movimento sulla pietraia tradisce la presenza di qualcuno che, solo, sta scendendo verso di noi. Lo aspettiamo per chiedergli dove è passato. Con evidente accento ligure parla di un passaggio facile nei pressi dell'estremità ovest della bastionata, dove questa peraltro è più sottile (ma è più alto il pendio detritico sottostante): decidiamo che passeremo da lì.
Segue ritorno al Deffeyes; in attesa della cena possiamo andare a rinfrescarci almeno i piedi nella pozza d'acqua (con girini) vicino al rifugio. Una pausa piacevole.
La cena è standard, pasta o minestrone come primo e polenta, fette di tacchino, carote e piselli per secondo. La giornata si conclude con l'osservazione del tramonto sul Rutor e il Grand Assaly (foto 6) seduti sulle panche lungo il muro sud del rifugio, in compagnia di... un topolino che di tanto in tanto passa tra di noi facendo la spola tra il prato e lo spazio sotto il pavimento del gabbiotto dove abbiamo riposto gli zaini.
Sparito il sole la temperatura scende immediatamente, per poi stabilizzarsi su un livello ancora accettabile. Qualche foto con le stelle e l'ultima luce sul Grand Assaly (foto 7), ed è ora di andare in branda.
Il camerone si è riempito. E sì, qualcuno russa già... e non smetterà. La notte passa in un'alternanza di sonno e di veglia, dovuta questa non solo ai nostri compagni di camerone (dal timbro e dalla tonalità deduciamo che almeno quattro di loro hanno russato tutta la notte) ma anche al caldo. Avrei dovuto portare il sacco letto di cotone e non quello termico, che, seppur in dubbio, ho scelto perchè più sottile e leggero.

8 agosto 2016: giorno 2

La sveglia suona alle 5.05; il primo turno per la colazione è alle 5.30; qualcuno, anzi quasi tutti, la farà più tardi. In pratica a quell'ora siamo solo noi 5 e un gruppetto di 3: tutti diretti al Grand Assaly. E dire che è una cima frequentata pochissimo.
Fuori è ancora quasi buio ma si vede già che il cielo è limpido e perfettamente sereno: forse abbiamo scelto i giorni giusti. Le previsioni parlano solo di qualche velatura nel pomeriggio, che viste le temperature del giorno prima può anche non essere un male.
Alle 6.08 partenza. Scendiamo (foto 8) lungo il sentiero (con qualche piccolo tratto attrezzato con una corda) fino al Lago dei Seracchi e lo aggiriamo come da soralluogo (foto 9); invece di attaccare la bastionata sul lato ovest come ipotizzato nel pomeriggio, però, cerchiamo una via di salita tra il centro e la cascata. Nel frattempo vediamo gli altri 3, partiti poco prima di noi, arrivare all'inizio del ponte tibetano. Probabilmente questo permetterà a loro di risparmiare parecchio tempo.
Superiamo questo salto dopo aver cercato una via accettabile tra mille placche lisce (inevitabilmente ognuno di noi troverà la sua variante personale) e, arrivati sull'altopiano sopra la bastionata, vediamo arrivare da sinistra i nostri compagni di salita.Capiamo subito che l'attraversamento del ponte deve aver portato via loro più tempo del previsto.
Attraversato l'altopiano, ricoperto di bassa vegetazione d'alta quota (foto 10), ci ritroviamo tutti insieme all'attacco dello scivolo detritico che immette nella valletta a sud-est del Grand Assaly, dove veniamo raggiunti anche dai primi raggi di sole (foto 11). I tre ci confermano che il ponte era piuttosto problematico, e uno solo di loro l'ha superato, mentre gli altri due hanno guadato il torrente (non senza difficolà) grazie al fatto che a quell'ora la portata è ancora la minima giornaliera.
La temperatura si alza immediatamente e possiamo alleggerirci un po'. Risaliamo senza troppe difficoltà - e alla ricerca di una traccia a terra che non troveremo, accontentandoci solo di qualche ometto - questa zona detritica (foto 12) e giungiamo così (sono circa le 8) sul bordo del ghiacciaio che occupa il fondo del canalone (foto 13), inizialmente largo qualche decina di metri ma più grande nella parte superiore. È ora di sfoderare i ramponi.
L'altro gruppetto parte più velocemente, ma senza legarsi, mentre noi optiamo per formare due cordate, il che ci porta via come sempre un po' di tempo. Sarò con Lauretta davanti e Giovanni dietro.
Risalendo il ghiacciaio non ricalchiamo le tracce di chi ci ha precedeuti, ma ci manteniamo più nel centro per stare più lontani possibile dalle circostanti pareti da cui potrebbero verificarsi scariche di sassi (foto 14). Una femmina di stambecco attraversa il ghiacciaio orizzontalmente sopra di noi. La neve che ricopre il ghiaccio non è molta ma le parti di ghiaccio vivo sono poche e per lo più in corrispondenza di un cambio di pendenza circa a metà salita. Dalla consistenza sembra che durante la notte la temperatura qui non abbia raggiunto lo zero, chissà come sarà al ritorno...
Arriviamo al Colle Assaly, a quota 3002, poco prima delle 9 (foto 15). Il tratto glacializzato ci ha portato via circa un'ora, preparazione inclusa. Da qui possiamo affacciarci sul ripidissimo versante francese, e osservare i tre alle prese con il passaggio chiave della salita, la famosa placca esposta di II. A occhio sembra che chi è salito per primo stia facendo sicura dall'alto agli altri due. Abbandoniamo picche e ramponi vicino ad una chiazza di neve che sarà riconoscibile anche dall'alto e ci avviciniamo alla parete.
Visto da vicino questo famoso passaggio non sembra niente di che, anzi, apparentemente ha buoni appoggi per i piedi ed evidenti appigli (foto 16). L'esposizione innegabilmente c'è (foto 17).
Assaggia per primo la via Massimo, che si tira su la corda raddoppiata. Procede abbastanza spedito, commentando in diretta che è una salita facile. Arrivato in cima si assicura alla sosta. Seconda Lauretta, che porta su l'altra corda, seguita da Giovanni legato all'altra estremità della stessa corda.
Chiuderemo io e Patrizia, legati ai due capi della corda portata da Massimo, che ci recupera facendo sicura dall'alto a tutti e due. Era vero: questo tratto, che mi intimoriva abbastanza a tavolino, non ha nessuna difficoltà particolare, a meno di avere particolarmente paura dell'esposizione. Si può dividere in due parti: una placca iniziale da risalire in diagonale lungo una comoda e larga fessura scalinata, e la parte superiore più verticale con un terrazziino centrale. Unico inconveniente: a 3/4 di salita, alzando il ginocchio sinistro ribalto la custodia della videocamera (appesa alla borsa della macchina fotografica che porto a tracolla) e questa ne esce a causa della cerniera aperta perchè rotta da tempo. Non me ne accorgo immediatamente, ma il rumore di plastica che rotola sulla roccia sotto di me è inequivocabile. La vedo saltellare verso il basso e me la immagino già volare e disintegrarsi centinaia di metri più in basso sotto il colle, quando in realtà, trovato un appoggio di terra, si ferma. Mi faccio lasciare un paio di metri di corda da Massimo e la recupero: non so se funzionerà ancora. Dall'esterno si vede solo una scalfitura sul coperchio del display.
Arrivato alla sosta e liberata la corda mi allontano di qualche metro e la accendo: incredibilmente sembra tutto a posto. Faccio in tempo anche a registrare l'arrivo in sosta di Patrizia. Lauretta e Giovanni stanno aspettando poco più su: il passaggio chiave è superato. Nessuno ha avuto problemi e ci siamo pure divertiti. Personalmente sarei pronto a rifarlo tranquillamente senza la protezione della corda dall'alto.
Da qui non ci resta che seguire la cresta verso la cima. Questa non è affilata ed è formata da rocce a grossi blocchi (foto 18) con qualche tratto su terra/erba; bisogna ancora usare le mani ma la difficoltà supera al massimo il I grado. Saltello velocemente di roccia in roccia verso la cima, seguito da Lauretta e Giovanni che salgono legati in conserva e poco più indietro da Massimo e Patrizia.
In circa un'ora dal colle sono in vista della vetta su cui è posta una croce di metallo (gli altri tre sono lì intorno) e la raggiungo senza ulteriori problemi: la salita al Grand Assaly è domata. Ci sono volute circa 4 ore, effettivamente più del previsto, ma le manovre con la corda hanno richiesto tempo; calcolando i tempi "puliti" probabilmente saremmo intorno alle 3 ore. Tuttavia non ci sembrava il caso di risalire il ghiacciaio slegati e scalare la parete senza sicurezza.
Il panorama è totale, soprattutto sul vicino gruppo del Rutor, ma anche su quello del Bianco (foto 19). Non siamo particolarmente in alto ma si vede quasi tutta la Valle d'Aosta, inclusi Emilius, Grand Combin, Cervino e Rosa. Sotto di noi ad ovest i bei Laghi di Bellacomba, dove sono stato tre volte negli ultimi anni. La giornata è eccezionale e la soddisfazione è notevole. Non sarà stata la cosa più difficile della nostra vita, però ha il gusto della cima insolita condito con un pizzico di avventura che male non fa.
Arrivati tutti in vetta scopriamo che due dei nostri tre sconosciuti compagni di salita sono tra i gestori del sito di montagna theflintstones.it, con cui ho fatto scambio di link da tempo.
Poco dopo il nostro arrivo in vetta l'altro gruppo inizia la discesa per poi salire alla vicina Loydon. Nemmeno noi rimaniamo su molto tempo: la discesa sarà comunque lunghetta. Alle 10.40 ripartiamo.
Decidiamo di scendere tutti in conserva, con le cordate come per la salita su ghiacciaio (foto 20). La corda ci permette di procedere con maggior sicurezza (magari solo psicologica...), in compenso è abbastanza d'impiccio in quel labirinto di spuntoni e ci impedisce di procedere veloci. Pazienza.
Ricostruiamo il persorso di salita grazie agli ometti e alle rocce che ricordiamo di aver visto, e raggiungiamo così nuovamente il passaggio chiave, che risolviamo con una doppia (la corda da 40 m. arriva giù giusta giusta, foto 21). Dalla base alla nostra attrezzatura sono pochi minuti di cammino.
Ramponati riprendiamo il ghiacciaio; ci leghiamo tutti insieme questa volta (foto 22), con me in testa (anche se una cordata da 5 non è propriamente da manuale). Come sarà conciata la neve sotto questo sole bollente? I primi metri sembrano proprio molli. Scendo abbastanza velocemente constatando come dopo la panna della parte sommitale il resto tutto sommato è accettabile. Non una gran bella neve dura ma i ramponi tengono ancora, merito probabilmente dell'inclinazione trasversale della parte centrale del ghiacciaio che gli permette di ricevere i raggi solari con un elevato angolo di incidenza. Aggiro a destra le placche di ghiaccio vivo e scendo lungo la parte inferiore; qui la neve si fa di nuovo morbida, ma in breve siamo fuori; il ghiacciaio ha portato via questa volta meno di mezz'ora.
Gli zaini caricati con corde, picche e ramponi ricominciano a pesare. La discesa sul ripido pendio detritico è relativamente veloce e i radi ometti si vedono abbastanza bene. Seguendoli (con un occhio anche alla traccia di salita sul GPS) attraversiamo l'altopiano fino al bordo della bastionata, alla ricerca del punto da cui siamo saliti. Notiamo però alcuni ometti più a destra; potrebbero portarci al ponte tibetano - che non abbiamo intenzione di attraversare - oppure indicarci un punto migliore per scendere. Decidiamo di seguirli ed effettivamente la discesa vicino alla cascata è più agevole (foto 23) e non dobbiamo faticare molto a trovare i passaggi più facili (al contrario della salita quando ognuno ha avuto la sua fetta di ravanage).Aggiriamo il Lago dei Seracchi e ritroviamo il ponte sull'emissario e il sentiero: da qui il ritorno al rifugio non ha più storia. Unica nota: le corde che attrezzavano alcuni punti di risalita sopra al lago nell'arco della mattina sono state tolte e non ancora sostituite. Ma dopo tutte quelle rocce, non sono certo queste a spaventarci...
Al rifugio (foto 24) pausa, pranzo e meritato brindisi. Recupero di tutta la nostra roba lasciata lì per salire leggeri, ed ecco che gli zaini tornano ad essere macigni. In compenso ritrovare le scarpe leggere è un vero piacere.
La discesa a valle sarà ancora lunga; incontriamo parecchia gente sul sentiero, sempre di più man mano che scendiamo (tanti i turisti che salgono solo fino alle cascate). Peccato non avere la macchina comoda a La Joux, ma è davvero l'ultima fatica. Intorno alle 18 è tutto finito.
È stata la gita dell'anno? Indubbiamente per ora sì. Rimarrà nella mia storia personale tra quelle più importanti, sicuramente. Panorami eccezionali e giornate magnifiche e divertenti. Difficoltà non eccessive, chilometraggio totale intorno ai 27 km e dislivello leggermente superiore ai 2100 m. (credevamo meno, ma il sopralluogo del pomeriggio prima e i saliscendi hanno contribuito).
Da oggi posso tornare a La Thuile e trovare il Grand Assaly meno mitico e misterioso... ma sarà sicuramente sempre il teatro di una gran gita!

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